Tra il 1995 e il 1997 produce e dirige il film lungometraggio "KAPPA", liberamente tratto dalla piéce teatrale di Mario Giorgi "KOPPIA". Marco Sgrosso ed Elena Bucci sono interpreti sia della piéce che del film.
Una coppia di attori, compagni nella vita, chiusi nel loro appartamento, presi in un’accesa discussione, provano un copione i personaggi del quale sono, a loro volta, una coppia di attori. I dialoghi del copione e quelli della loro relazione sono simili, somigliano fino a confondersi. I due stanno per girare la scena di un film, che verrà realizzato in un teatrino barocco di provincia. Il piano della finzione e quello della realtà si confondono, fino a dimostrare che è la vita stessa ad essere costituita da tale commistione. Allo scenario dell’appartamento si alterna quello del teatro dove i due attendono l’inizio delle riprese: le quinte, i camerini, i corridoi, mentre la troupe prepara il set. Il montaggio alternato di vita e finzione si fa sempre più fitto, la realtà e la rappresentazione s’intrecciano e si confondono. Alla fine del film si scopre che l’appartamento dove abbiamo imparato a conoscere i due protagonisti nella loro privacy non è mai esistito: era solo la scenografia del set durante le riprese, la parte di film già girata. Scopriamo che tutto quel che si è visto è la ricostruzione soggettiva della relazione che lega i protagonisti; ricostruzione fatta da entrambi, durante un viaggio in automobile, stimolati dal copione che hanno interpretato. L’auto, una scatola tecnologica che li costringe insieme, si rivela essere l’unico luogo comune, dove ricordi e immaginazione vivono confusi nella rêverie che si produce spontanea sul paesaggio che scorre dietro i vetri. Il fatto che i due personaggi siano due attori e che tutto si svolga al chiuso, in teatro, non serve a farci conoscere qualcosa dell’arte della finzione, anzi, veniamo a scoprire l’artificiosità teatrale di dinamiche che ci accadono di continuo nella vita, il “copione” che detta e ripete la forma delle relazioni interpersonali in atto. Fuori della gabbia delle parole, il finale del film mostra come il più profondo mondo interiore degli uomini aderisca meglio ai paesaggi con cui la natura si dà a vedere: l'uno e l’altra, come il cinema, ci parlano meglio della vita e della realtà.